Prevenzione e analisi di laboratorio: quali fare e quando
Cosa significa davvero fare prevenzione? Quando ha senso sottoporsi ad analisi di laboratorio e quali sono gli esami utili nelle diverse fasi della vita? In un’epoca in cui l’accesso ai test è sempre più semplice, ma il rischio di sovradiagnosi è dietro l’angolo, fare chiarezza è fondamentale. Ne abbiamo parlato con il Dott. Giovanni Melioli, Specialista in Microbiologia e Direttore Sanitario di Medicina di Laboratorio dell’Istituto Salus e di Laboratorio Albaro, a Genova.
Cos’è la medicina di laboratorio?
La medicina di laboratorio è una disciplina relativamente giovane, diventata autonoma dalla medicina clinica solo negli anni ‘60. Negli anni ‘70 l’automazione ha iniziato a trasformare i processi e negli anni ‘80 il settore ha ampliato il proprio campo d’azione, includendo le malattie infettive.
L’emergenza dell’HIV/AIDS ha rappresentato una svolta, imponendo nuovi protocolli di sicurezza e stimolando la ricerca. Negli anni ‘90, con l’arrivo della PCR, si è resa possibile la moltiplicazione di frammenti di DNA invisibili, aprendo la strada alla diagnostica molecolare.
Un ulteriore salto è avvenuto con il Progetto Genoma, che ha permesso la conoscenza completa del DNA umano e lo sviluppo delle scienze “omiche”: genomica, trascrittomica, proteomica, metabolomica, ecc.. La medicina di laboratorio è così passata dall’analisi di singoli parametri a un approccio integrato su matrici complesse.
Negli anni Duemila, con la spinta della medicina personalizzata, si è iniziato a proporre cure su misura in base al profilo biologico individuale. L’allergologia molecolare, per esempio, ha beneficiato di questi sviluppi, con test avanzati come ALEX.
La pandemia da COVID-19 ha reso familiari a tutti tecniche di laboratorio come la PCR. Oggi, l’intelligenza artificiale supporta l’analisi di dati complessi, come quelli del microbioma, producendo referti comprensibili anche per i pazienti. Una scienza in continua evoluzione e dal grande fascino.
Perché è fondamentale nella prevenzione?
La prevenzione è uno degli strumenti più potenti per evitare l’insorgere delle malattie. Può essere fatta in molti modi: attraverso l’educazione (per esempio, spiegare i danni del fumo o promuovere la dieta mediterranea) oppure sfruttando le tecnologie e gli esami di laboratorio. La soluzione più efficace, però, è l’integrazione di tutte queste strategie.
La medicina di laboratorio gioca un ruolo sempre più rilevante: grazie all’individuazione di biomarcatori e all’evoluzione della genomica, oggi è possibile identificare predisposizioni a certe malattie con largo anticipo. Un esempio è l’analisi del genoma, che, tra le altre possibilità, può indicare un maggior rischio di sviluppare l’Alzheimer entro una certa età. Tuttavia, la prevenzione genetica si basa su probabilità, e ognuno le interpreta in modo diverso: per qualcuno una possibilità su dieci è allarmante, per altri trascurabile. Per questo i dati vanno sempre contestualizzati.
Ci sono però esami che danno risultati più concreti: una PET, in specifiche condizioni, può individuare cellule “metabolicamente” alterate prima che il tumore sia clinicamente evidente o un PSA aumentato può portare a diagnosticare un adenoma o un carcinoma della prostata. In questi casi, l’esame fornisce indicazioni dirette sulla persona, non solo stime statistiche.
Test genetici complessi, come il BRCA1, vanno affrontati in centri specializzati, dove c’è la competenza per gestire i risultati. Diverso è il caso della prevenzione di base, come PAP test, ricerca del sangue occulto, PSA o Helicobacter pylori: esami semplici, con indicazioni chiare, accessibili a tutti.
Il problema, però, resta uno: servono risorse disponibili per fare vera prevenzione. E qui il discorso si sposta sul piano politico, sociale e culturale. Una sfida ampia e complessa, che va ben oltre il laboratorio, ma che inizia proprio da lì.
Cosa sono le analisi di laboratorio?
Il laboratorio è un mondo a parte: per dirla in modo semplice, si cerca di ricostruire, in una semplice provetta, ciò che accade nel corpo umano. Facciamo un esempio: immaginiamo una donna che decide di intraprendere una gravidanza. Va dal medico e dice: “Vorrei avere un bambino”. Il medico risponde: “Bene, vediamo se ha fatto la vaccinazione contro la rosolia e se ha sviluppato gli anticorpi”.
Ecco cos’è la medicina di laboratorio: è la capacità di ricreare, all’interno di una provetta, ciò che avviene nel corpo quando il virus della rosolia incontra, o non incontra, gli anticorpi.
Se il virus trova gli anticorpi, viene neutralizzato e il problema è risolto: la persona è protetta. Se invece non trova gli anticorpi, il virus potrebbe legarsi alle cellule e comprometterne la funzionalità. In laboratorio possiamo misurare, in modo surrogato, se le cellule rischiano di essere danneggiate o meno.
Un esempio interessante di questo approccio è stato sviluppato per il COVID-19: in quel periodo, si parlava spesso di anticorpi neutralizzanti. In collaborazione con una azienda italiana, abbiamo sviluppato un test che valutava se l’anticorpo del paziente fosse abbastanza efficace da neutralizzare il virus meglio ancora della migliore risposta immunitaria sperimentale. In pratica, mettevamo “in gara” l’anticorpo del paziente con il miglior anticorpo noto: se vinceva il primo la persona era considerata protetta.
E così via, con tantissimi altri esempi. Prendiamo un tampone faringeo per verificare la presenza dello streptococco: si prende un campione dalla gola e lo si “semina” su una piastra di agar che riproduce l’ambiente della gola. Se cresce lo streptococco, lo si individua subito: “Fermi tutti, è presente lo streptococco!”.
La medicina di laboratorio, in fondo, è questo: riprodurre fuori dal corpo umano le condizioni che determinano la salute o la malattia. Un lavoro fondamentale per capire, prevenire e curare.
Come si eseguono?
La prima decisione in medicina di laboratorio riguarda il materiale biologico da analizzare, scelta che può sembrare banale ma che ha implicazioni profonde. Di norma si parte dall’organo sospettato come malato: mal di gola? Tampone faringeo. Cistite? Urine. Questo approccio, nato molto tempo fa, fornisce risposte dirette, ma ha un limite evidente: si trova solo ciò che si cerca. È il principio del targeted testing. Le scienze “omiche”, più moderne, superano questa logica: analizzano tutto, anche ciò che non si sospetta, offrendo scoperte inaspettate ma qualche volta difficili da interpretare.
Il sangue è il materiale più usato perché accessibile e ricco di informazioni, provenienti da tutto il corpo: una sorta di “spazzatura in circolo” che porta tracce di ciò che accade altrove. Nelle malattie del sangue è perfetto, ma per altri organi, come il fegato, restituisce dati indiretti. Se si misura un ormone, ad esempio, il valore dipende sia dalla produzione sia dall’eliminazione, rendendo più complessa l’interpretazione. Non possiamo ancora studiare direttamente la biochimica di organi come il fegato nel loro stesso contesto, ma in futuro, con nuove tecnologie, potremo forse farlo.
Oggi, in laboratorio, si distinguono test diretti (sull’organo malato) e indiretti (su materiali che raccolgono informazioni dall’organo). I campioni biologici raccolti dal paziente vengono smistati in linee produttive specializzate: biochimica, batteriologia, ecc., ognuna con tecnologie e metodi specifici. La medicina di laboratorio ha un unico punto di ingresso (la raccolta accurata del materiale biologico) e uno di uscita (il referto), ma internamente si articola in processi paralleli e complessi. Questa è la pratica quotidiana: un sistema strutturato, altamente tecnologico, capace di tradurre i segnali biologici del corpo in dati clinici utili per la diagnosi e la cura.
Analisi consigliate per fascia d’età
Nessun test può dire in assoluto se si è sani o malati: le analisi hanno senso solo se legate a un sospetto clinico, a un sintomo, a una domanda precisa. In un bambino sano, ad esempio, non c’è motivo di eseguire esami fino ai 18-20 anni, salvo casi specifici come asma, celiachia o familiarità per certe patologie.
Con l’avanzare dell’età, alcune analisi diventano più sensate, come il controllo dell’anemia nelle donne, ma senza automatismi: un valore basso non equivale sempre a una malattia.
Una menzione a parte meritano gli esami di “anatomia patologica” che, per definizione, non sono di competenza del medico di laboratorio ma dell’anatomo patologo: il Pap test, per esempio, è fondamentale nella prevenzione femminile. In definitiva, il consiglio migliore resta quello più semplice: osservare come ci si sente, dialogare con il medico e decidere insieme. Le scelte devono basarsi su criteri clinici consolidati.
Quando e con che frequenza fare le analisi?
Questa domanda tocca un tema cruciale: ogni esame di laboratorio ha una sua “costante di tempo”, ovvero una velocità con cui il parametro biologico cambia nel tempo. Alcuni, come la glicemia, possono variare nell’arco di ore; altri, come il volume dei globuli rossi, restano stabili per mesi o anni. Per questo non esiste una frequenza valida per tutti: analizzare spesso un parametro stabile è uno spreco, mentre controllare raramente un parametro instabile può essere pericoloso.
Nella medicina di laboratorio si distinguono due categorie principali: i pazienti con una patologia in corso, che richiedono monitoraggi frequenti (anche più volte al giorno), e i pazienti sani, che desiderano controlli di prevenzione. In questi ultimi casi, può avere senso fare un esame all’anno. Tuttavia, se, per esempio, un valore come il PSA cambia significativamente da un anno all’altro, la frequenza deve adattarsi alla nuova situazione clinica.
La medicina di laboratorio è spesso percepita come un processo meccanico: premi un pulsante e ottieni un risultato. In realtà, la complessità risiede nella scelta del test giusto, nella sua impostazione e nell’interpretazione del risultato. È una disciplina spesso invisibile, eppure è centrale: i primi esami richiesti a un paziente sono quasi sempre di laboratorio e si stima che il 70% delle diagnosi sia basata su esami di laboratorio.
La domanda “Ogni quanto devo fare questo esame?” non ha una risposta unica. Dipende dal tipo di parametro, dalla situazione clinica e dalla sua evoluzione. Il vero compito della medicina di laboratorio è trovare il giusto equilibrio tra utilità, frequenza e significato clinico. Ed è proprio questa la sua sfida più affascinante.